Francesca Grego | Arte.it

Roma – 22/11/2017

Uomo o donna? Olfatto o vista? Arte o moda? Non ha più alcuna importanza. Alternative binarie, definizioni rigide e recinti disciplinari sono decisamente al capolinea. Quello che solo 50 anni fa avrebbe fatto gridare all’apocalisse, oggi non è che realtà quotidiana. Da vivere e sperimentare in inedite alchimie creative.

Dal 25 novembre a raccontare in diretta le culture del contemporaneo saranno due nuove voci made in Rome e proiettate già all’origine in una dimensione globale. Si tratta del fashion & art magazine Flewid, ideato da Emi Marchionni, e dello spazio espositivo Contemporary Cluster, diretto da Giacomo Guidi, che dalla nuova sede nel cuore della Città Eterna lancia gli Hanging Paintings di Tadao Cern, il jewel design di Okiiko e i profumi di Blood Concept in un accattivante percorso multisensoriale.
A fare da trait d’union sono l’impronta artistica e l’infaticabile networking del fotografo Angelo Cricchi, che ci racconta in anteprima due progetti nati per osare.

Flewid porta la tua firma come direttore creativo. Cosa lo contraddistingue rispetto alle riviste già in circolazione?

Flewid è la ricerca di una bellezza diversa e di una personalità diversa, che si discostino dai modelli mainstream. Già il nome – un incrocio tra fluidità e identità – la dice lunga sulla sostanza del progetto. Fa riferimento a un’idea di apertura, che supera ogni concetto precostituito di sessualità o etnicità, per spaziare nella scoperta di individui ed estetiche che rappresentino la fluidità del mondo attuale senza preclusioni, ma senza nemmeno finire nel ghetto del freak. Lo stesso team della rivista incarna appieno questo spirito: con un editore transgender, un fashion editor gay, un direttore creativo totalmente straight e un art editor bisex non corriamo il rischio di cadere in conformismi di sorta.

Come nasce Flewid e quali sono i suoi prossimi obiettivi?

È un anno che ci siamo lanciati in questa avventura. Un’idea nata quasi per caso, che si sta concretizzando grazie a una rete di contatti sparsi in tutto il mondo. Flewid sarà in vendita a Londra, negli Stati Uniti, in Canada. Poi naturalmente anche a Roma e a Milano, dove siamo presenti con una distribuzione capillare. Ma, come in tutti i progetti veramente nuovi, non sappiamo ancora esattamente dove ci porterà questa strada. A guidarci è solo l’intuito, la voglia di sperimentare in campo aperto con un pizzico di sana incoscienza.

Un’iniziativa quasi temeraria: puntare su un magazine cartaceo – e costoso vista la qualità delle immagini proposte – proprio quando il mercato sembra essere tutto concentrato online…

Certamente il coraggio non ci è mancato. Non solo per i rischi economici che un’operazione di questo tipo comporta, ma anche per i temi affrontati. Occuparsi di gender, di omosessualità, fotografare persone con handicap con intenti estetizzanti ha un preciso valore politico oggi, mentre vecchi stereotipi e pregiudizi tornano prepotentemente a galla. L’obiettivo di Flewid è anche aprire spazi fuori dai circuiti tradizionali, offrire un’occasione per esprimersi a giovani artisti e professionisti fuori dal coro, mentre tutto intorno sembra fermo e stagnante.

Come fotografo e come artista, qual è la tua idea dei possibili rapporti tra arte e moda? Ci sono ancora potenzialità inespresse in questa relazione?

Dipende dall’onestà con cui ci si avvicina all’argomento. Personalmente sono sempre stato troppo legato alla moda per chi lavora nella sfera dell’arte e troppo artista per i professionisti della moda. Per me “moda” vuol dire Botticelli, Raffaello, Lucas Cranach e i pittori fiamminghi. Ovunque ci sia un’idealizzazione estetica della realtà, c’è moda. È chiaro che in questo caso il rischio è quello di mangiarsi il contenuto. Se invece per moda intendiamo qualcosa che riguarda l’abito in senso stretto siamo già più lontani, nell’ambito della storia del costume, che tuttavia comprende anche la fashion photography, come aveva intuito Helmut Newton. Con l’arte astratta e con chi attacca idranti alle pareti di una galleria non credo di poter trovare punti di contatto, tuttavia sono convinto che tutta la grande arte possa essere moda. Se pensiamo all’ultima mostra di Damien Hirst a Venezia, non possiamo fare a meno di notare quanto siano fashion le sue figure sott’acqua!

Alla base del concept di Flewid c’è l’idea di un superamento dei generi in stili cangianti e senza confini. Puoi farci il nome di un artista capace di incarnare questa sensibilità oggi?

Appena lo trovo lo metto in copertina! A parte gli scherzi, in linea di massima preferisco non fare riferimento a grandi nomi, che presuppongono identità già stabili, se non cristallizzate. Con il mio team di giovani collaboratori siamo alla ricerca soprattutto di novità in divenire, dei molti volti della fluidità contemporanea. Ma posso anticipare che tra le pagine di Flewid ci sarà spazio per un artista come Jan Fabre, che sicuramente può rappresentare il nostro punto di vista. Citare Andy Warhol e la Factory può apparire ovvio, mentre non posso evitare di fare il nome di David Bowie, che con il suo percorso camaleontico è un artista fluido a tutti gli effetti.

Parliamo di Contemporary Cluster e della sua nuova sede nel cuore di Roma, uno spazio aperto alle contaminazioni tra arte, moda e scent design.

Contemporary Cluster è un progetto che ha preso il via da circa un anno e ha già dato vita a cinque ‘episodi’. L’idea è quella del mix-up, di mettere intorno a un artista una serie di “colleghi” provenienti da ambiti diversi, grazie ai quali la sua opera avrà occasione di contaminarsi e ampliarsi. Per esempio Mustafa Sabbagh ha potuto creare gioielli e profumi in collaborazione con altri creativi riuniti in network. Un’operazione vincente anche nel marketing, perché capace di attrarre anche chi non è interessato all’arte fine a se stessa. Un’altra declinazione del concetto di fluidità, e non è un caso. Il progetto si rinnoverà questa volta nella nuova, bellissima sede di Contemporary Cluster: un palazzo seicentesco nel centro storico di Roma, con tre piani dedicati al design, al bookshop, a incontri e mostre d’arte, ospitate in un grande ambiente affrescato. E per il prossimo futuro stiamo già pensando a eventi espositivi che ruotino intorno alla fotografia.

Installazioni, colori, profumi: Contemporary Cluster nasce all’insegna dell’incrocio tra i sensi e della sinestesia. Può la fotografia essere multisensoriale e sinestetica?

È uno dei dilemmi che mi si ripresenta ogni anno quando, come direttore del Dipartimento di Moda dell’Istituto Superiore di Fotografia, mi si chiede di trasformare in immagine un odore o una musica. Rappresentare ciò che non è visibile è una delle sfide più complesse per un fotografo. Si può, o quantomeno si può tentare, ed è un lavoro molto stimolante. Poi sta a chi guarda recepire il messaggio con la sua sensibilità personale. Ma Stevie Wonder ha composto colonne sonore anche molto belle senza poter guardare i film su cui lavorava, e anche Ray Charles, dimostrando che l’arte può andare oltre le barriere dei sensi.